La Comunità

IL SANGHA

Di Mario Thanavaro

Chi ha trasceso bene e male, fa vita nella purezza,
si comporta nel mondo con oculatezza: questi
invero vien chiamato Bhikkhu.
Dhammapada, 267

Un notevole contributo alla diffusione del Dhamma è stato dato dall’ordine monastico, comunemente detto Sangha, (l’assemblea di bhikkhu e bhikkhuni), da lui fondato e guidato per oltre 40 anni. Quell’ordine è sopravissuto nei secoli, cercando di custodire la saggezza di Buddha sia nello stile di vita, sia nelle scritture dei suoi insegnamenti. Il benessere e la prosperità del Sangha erano dovuti al vivere in accordo al Dhamma-Vinaya (l’insegnamento e la disciplina) del loro Maestro originario: il nobile Siddháttha Gotama , detto anche Sakyamuni , che visse per circa 80 anni nel VI-V secolo a.C. nel nord dell’India. Etimologicamente la parola Sangha significa “venire insieme” o l’Assemblea. Nei testi Pali si distinguono due tipi di Sangha: il primo è chiamato “Arya Sangha”, Comunità di Nobili Discepoli, e il secondo è chiamato “Sangha Monastico”, detto anche “Sammuti Sangha” o Sangha Convenzionale. Nella Tradizione Therevada all’”Arya Sangha” appartengono tutti coloro che hanno raggiunto uno dei quattro stadi di realizzazione del Nirvana. All’inizio furono i componenti dell’”Arya Sangha” i quali erano al tempo stesso monaci, ad insegnare il Dhamma. Oggigiorno il “Sangha Monastico” è formato da coloro che seguono il Dhamma-Vinaya, ovvero l’insegnamento del Buddha e le regole monastiche che furono introdotte dallo stesso Buddha per necessità contingenti al fatto che i nuovi componenti del Sangha non erano illuminati. Il Vinaya ha una duplice funzione. La prima è di assicurarsi che il praticante non commetta azioni negative che lo discreditano agli occhi dei suoi fratelli monaci, o sorelle monache e la cui applicazione facilita la pratica del Dhamma. La seconda funzione è quella di proteggere il rapporto fra comunità monastica e la comunità laica, rapporto che si regge grazie al rispetto e alla fede che i laici provano nei confronti della purezza e della virtù dei componenti della comunità monastica. Se il Sangha Monastico è formato da buoni praticanti che salvaguardano il Dhamma del Buddha attraverso la buona applicazione dei precetti monastici e le realizzazioni della pratica, allora questo Sangha Monastico diventa un campo di meriti ed è oggetto di Rifugio. Il primo componente del Sangha Monastico fu il Venerabile Kondañña (pronuncia Kondagnia), il quale ascoltando il primo discorso del Buddha realizzò la Verità del Dhamma. Il Dhamma, viene studiato, praticato e realizzato da tutti coloro che sono sul sentiero della liberazione e viene insegnato per il beneficio di tutti gli esseri senzienti affinché diventino componenti dell’Arya Sangha. Nel corso dello sviluppo storico del Buddhismo si è visto che l’impegno monastico era particolarmente efficace nel produrre i frutti nella pratica del Dhamma. Allo stesso tempo ogni qualvolta la pratica del Dhamma veniva meno, il Sangha Monastico perdeva di credibilità e vitalità. Nella primissima fase delle diffusione del Buddhismo il Sangha non era molto organizzato e crebbe soltanto nella pianura lungo il Gange. L’etica buddista si sviluppò col passare del tempo, per fornire a monaci e monache, come anche ai laici, una linea di condotta per ottenere il bene supremo. La fondazione dell’etica buddhista iniziò con l’evidenziare la pratica dell’amore, o benevolenza. L’amore, nella sua forma autentica, era detto “autentica benevolenza” (metta) o “compassione” (karuna). Tuttavia spesso si citava la riconoscenza come la migliore delle azioni buddhiste. La fiducia e l’apertura di cuore erano essenziali per una corretta relazione tra maestro e discepolo. Il vinaya (le regole di comportamento del praticante) rinforzò questa relazione e creò un vincolo stabile tra i membri dell’ordine monastico. Per aiutare lo stabilizzarsi di questo vincolo, Buddha offrì uno specifico insegnamento detto “le sette condizioni essenziali”, che dovrebbero condurre sempre al benessere e alla prosperità del Sangha e mai al suo declino.

 

Queste sette condizioni sono:

1) Incontrarsi spesso e regolarmente,
2) Incontrarsi e lasciarsi sempre in armonia e portare questa armonia in ogni compito e comportamento verso l’altro.
3) Non avvertire i principi stabiliti o introdurne nuovi, ma accettare e mantenere quelli originali e fondamentali.
4) Onorare e rispettare gli anziani e ritenerli degni di ascolto.
5) Aderire alle qualità morali e spirituali.
6) Onorare e rispettare i luoghi sacri, le immagini e gli altri oggetti simbolici che favoriscono le pratiche religiose e la solitudine.
7) Privilegiare la propria pratica spirituale così che la nostra virtù sia di esempio per gli altri.
Il Vinaya veniva trasmesso dai precettori. Tuttavia dopo il Maha-Parinibbana di Buddha si ritenne necessario stabilire i principi e i modi in cui il Sangha avrebbe dovuto evolversi.

Il Vinaya veniva trasmesso dai precettori. Tuttavia dopo il Maha-Parinibbana di Buddha si ritenne necessario stabilire i principi e i modi in cui il Sangha avrebbe dovuto evolversi. Il venerabile Maha Kassapa, uno tra i primi discepoli di Buddha, propose alla fine che una assemblea di cinquecento monaci detti Vittoriosi o Arhant, in quanto avevano ottenuto la pace del Nibbana. Fu loro il compito di ristabilire il Dhamma-Vinaya così come lo avevano udito dal Buddha stesso. Il concilio avvenne a Rajagaha. A quella assemblea ne seguirono altre cinque. Il secondo concilio avvenne cento anni dopo il Parinirbbana di Buddha, nella città di Vaisali. Fu necessario un tale raduno per bloccare la degenerazione della disciplina, che aveva preso piede tra i monaci residenti nella città di Vaisali. Si parla di settecento partecipanti a quel concilio, che probabilmente segnò l’inizio delle scissioni nel Sangha. I dieci punti della disciplina in discussione durante il secondo concilio provocarono una accesa controversia tra i progressisti e conservatori dell’Ordine buddhista, che si divise in Theravadin e Mahasanghika. Per il terzo concilio, dobbiamo far riferimento soprattutto a fonti di Buddhismo del Sud, poiché non fu ricordato da nessuna altra parte. Il concilio si tenne a Pataliputta, nel 247 d.C. e provocò l’espulsione dalla comunità di alcuni elementi accolti erroneamente. All’epoca del terzo concilio, la letteratura canonica del Dhamma e del Vinaya, così come la conosciamo nella versione pali, era stata ormai completata nei suoi punti essenziali.
Il concilio venne indetto con gli auspici dell’imperatore Asoka, che è ricordato nella storia del Buddhismo per aver diffuso nel mondo orientale il messaggio di pace di Buddha. Asoka protesse tutte le religioni e aiutò l’Ordine buddhista in vari modi; incoraggiò l’armonia tra i membri del Sangha e inviò a Ceylon i suoi figli, il venerabile Mahinda e sorella Sanghamitta, affinché diffondessero la religione buddhista. I cingalesi preservarono l’ortodossia del primo Theravada diventandone i più stabili detentori. Da Ceylon i missionari buddhisti si diffusero in tutte le direzioni, instaurando ottime relazioni con la Tailandia e la Birmania, il che ha permesso che quella scuola esista ancor oggi anche in Laos, Cambogia e Sud Vietnam. Nel primo secolo d.C. dopo circa cinquecento anni di tradizione orale, fu messo per iscritto il canone Theravada (detto tripitaka). Si tratta di tre sezioni dette “canestri” (pitaka): il vinaya pitaka, una racolta di regole di comportamento e relative storie che formano la disciplina monastica di monaci e monache; il Sutta pitaka, che è suddiviso in cinque gruppi e consiste nei sutta che contengono gli insegnamenti di Buddha,; l’Abhidamma Pitaka, che è formato da dissertazioni sulla natura filosofica e psicologica degli insegnamenti, amplificando i termini e le idee contenute negli altri due “canestri”. L’Abhidhamma è comunemente accettato come opera più tarda.

I VOTI DEL BHIKKU

Ci sono 227 norme che regolano la vita di un monaco completamente ordinato (bhikkhu). Le più importanti riguardano l’impegno monastico:
1) Al celibato
2) A non rubare
3) A non uccidere un essere umano
4) A non affermare falsamente di avere poteri o realizzazioni.

I principi da coltivare sono la purezza di comportamento, l’accontentarsi, l’innocuità e l’onestà. Come aiuto per una vita semplice sono richiesti comportamenti di rinuncia come l’astenersi dal mangiare dopo mezzogiorno, l’abbandono di ogni tipo di lusso e di indulgere nel dormire. Due volte al mese i monaci di una stessa zona si riuniscono per la cerimonia della confessione. In tale occasione un monaco prescelto recita a memoria il “Patimokka” (le 227 regole dell’addestramento). In questo modo il Sangha ha mantenuto, nel corso della storia, la capacità di vivere in armonia e risolvere le controversie. Nonostante ciò si è mantenuta anche la tendenza allo scisma, il che ha dato origine a differenti sette. Questo fatto è confermato da svariati reperti storici, tra cui le iscrizioni. Anche durante il regno di Asoka c’erano diverse sette. Come risultato dello scisma Hinayana (conservatore), se ne formarono venti. La tradizione Theravada è l’unica scuola sopravissuta a quel periodo, e ai giorni nostri permane la più antica forma di Buddhismo. La scuola Vaibhasika (detta anche Sarvastivada), la Mulasarvastivada, la Sautantrica, la Vatsiputria, la Sammitiya, La Dhammagupta e tante altre scomparvero tutte quante. E’ interessante notare che nel secondo secolo la scuola Mahasanghika era la più diffusa, anche rispetto alla Vaibasika, che aveva trovato in Vasubandhu un importantissimo sostenitore dei suoi principi. Senza dubbio i cambiamenti politici che afflissero l’India nel corso dei secoli, come le invasioni musulmane, misero fine a quell’età dell’oro delle idee religiose che aveva dato vita a tante scuole di Buddhismo. La tradizione Theravada, da parte sua, dopo essersi diffusa nei dintorni di Avanti in India, arrivò a Ceylon e vi fiorì con il favore dei regnanti. Nel quinto secolo d.C. il venerabile Buddhagosa divenne il più nobile esponente del Buddhismo Theravada. Grazie al venerabile Buddhagosa, i Theravada ricevettero una eccellente strutturazione della propria dottrina, e grazie alla sua opera trovarono unità di pensiero. Con Buddhagosa il canone theravada fu tradotto in lingua cingalese e divenne più accessibile alla gente comune. Durante il IV concilio il canone fu tradotto in sanscrito. In occasione del V concilio Vasubandhu risistemò l’Abhidhamma per la scuola Vaibasika. L’anniversario dei 2500 anni dalla nascita o “Buddha Jayanti” (durò due anni, dal 1954 al 1956) fu l’occasione per grandi celebrazioni in tutto il mondo buddhista. I Theravada si incontrarono a Rangoon per il loro sesto concilio, e in quella occasione esposero e controllarono la validità delle loro scritture. Ha presieduto questo stoico concilio il Venerabile Abhidaja Maharattha, Guru Bhadanta Revata di Mandalay, che ha predetto la diffusione del Buddhismo in tutto il mondo. Oggi dopo circa duemilacinquecento anni l’insegnamento del Buddha viene praticato in Occidente grazie all’apporto di Maestri orientali e occidentali che hanno ricevuto un training (addestramento), nella pratica meditativa. Molti di questi Maestri occidentali hanno avuto esperienze monastiche più o meno felici. Tuttavia il loro apporto alla divulgazione del Dhamma è indiscutibile. Infatti sono migliaia i praticanti delle varie tradizioni buddiste che si riuniscono sotto la guida di questi Maestri occidentali, per atti devozionali o pratiche meditative. La serietà dell’impegno nella pratica sia dei Maestri Occidentali che dei loro allievi è frutto del lavoro dei Maestri orientali che per la divulgazione del Dhamma si sono prodigati in modo ammirevole. Una caratteristica del Buddhismo in Occidente è la forte componente laica. Sarebbe bene che questi stessi praticanti laici si costituiscano in Sangha (Comunità) e coltivino le qualità che nobilitano i loro cuori. Per fare questo è importante lasciare andare l’atteggiamento utilitaristico che si può avere nei confronti della pratica, del gruppo con cui si pratica e dello stesso Maestro o Maestra di meditazione. Queste tre componenti – pratica di meditazione, gruppo con cui si pratica, e Maestro – non sono per il nostro uso e consumo ma costituiscono tre elementi importantissimi di supporto nel nostro sviluppo spirituale. Ci insegnano essenzialmente ad essere più generosi meno egoisti e più amorevoli. Ancora oggi questi tre elementi- il Buddha (un essere umano illuminato), il Dhamma (la Legge o Verità sempre presente insegnataci dal Buddha e che porta alla liberazione) e il Sangha ( la comunità dei praticanti e dei discepoli del Buddha) – sono conosciuti e rispettati da tutti i buddhisti come i “Tre Rifugi”, o il “Triplice Gioiello”. Inoltre hanno acquisito il significato simbolico di qualità-rispettivamente, Saggezza, Verità e Virtù- che è possibile trovare dentro di se. Dopo che il Buddha entrò nel Maha-Parinibbana» , il suo insegnamento fra l’altro già diffusosi in alcune regioni dell’India accolse diverse istanze filosofiche e si caratterizzò ulteriormente per la varietà delle sue scuole quando diffusosi nel Nord dell’India incontrò la cultura e la religione autoctona Bon in Tibet, in Cina il Taoismo e il Confucianesimo. In Giappone lo Shintoismo. Si diffuse pure in Vietnam, Corea, Indonesia ed Afghanistan ma attualmente sono presenti solo dei monumenti e altre tracce della sua vita un tempo felice in quei due paesi ove l’Islam si impose con la forza. Nell’Asia meridionale (Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Birmania, e Laos) si diffuse soprattutto il Buddhismo Theravada (Scuola degli Anziani) che si rifà a quel movimento di discepoli, bhikkhu, bhikkhuni (monaci, monache) e laici che in India circa 2500 anni fa seguivano l’insegnamento del Buddha Sakyamuni. Per questo motivo viene chiamato ‘il Veicolo Fondamentale’. Tuttavia come bhikkhu Therevada ereditai il termine “hinayanista» ”, seguace del Piccolo Veicolo, una parola piuttosto dispregiativa che fu introdotta dagli allora emergenti “mahayanisti” del periodo tardo, all’incirca nel 200 d.C. che volevano distinguersi dai loro confratelli più ortodossi ritenendosi appartenenti del Grande Veicolo. I seguaci del Mahayana con la loro visione del Sentiero, svilupparono un approccio alla pratica dell’insegnamento del Buddha più aperto, rendendolo così più accessibile . Di fatto nel Buddhismo Theravada si da una particolare attenzione alla scelta monastica, in quanto si ritiene che per una persona veramente intenzionata ad uscire fuori dalla sofferenza di cui è pregna la vita nel mondo oscurato dall’ignoranza, sia necessaria una scelta monacale. Servendosi della rinuncia, conducendo una vita meditativa regolata, casta o semplice il praticante si focalizza pienamente su di sé acquisendo la forza della comprensione del Dhamma. Pochi possono praticare in tal modo e pertanto questo veicolo è stato definito “piccolo”. La particolarità dell’insegnamento Mahayana è che fa della compassione un vero e proprio pilastro della pratica religiosa e pertanto viene chiamato più correttamente ‘Veicolo Universale’ o ‘Veicolo dei Bodhisattva ’. Ad un più approfondito studio del Buddhismo risulterà chiaro che ci sono modalità e livelli diversi di pratica a seconda degli approcci e delle motivazioni iniziali. In generale possiamo dire che il primo è più rivolto a una particolare cura e pulizia fisico-mentale, il secondo necessita del primo che viene ritenuto fondamentale e fa da base è rivolto a una particolare attenzione all’altro, dunque all’altruismo, all’amorevolezza e alla compassione. Il terzo si addentra nella comprensione della duplice natura della Realtà: convenzionale ed ultima. Ci mette in contatto con l’energia e ci insegna a trasformarla. Personalmente ho sempre sentito questa ultima enfasi più vicina alla mia disposizione d’animo. Oggigiorno il Buddhismo si presenta al mondo occidentale in tre grandi scuole a seconda dei loro paesi di provenienza. La tradizione Theravada è tuttora presente nello Sri Lanka, in Thailandia, in Laos, in Cambogia, in Birmania e parti del Vietnam e del Banghadesh; la tradizione Mahayana che abbraccia varie scuole è presente in Cina, in Tibet, in Corea e in Giappone; e la tradizione Vajrayana (il Veicolo Adamantino dei Tantra) è associato principalmente con il Tibet ma è una scuola di Buddhismo esoterico presente anche in Giappone, quì viene chiamato Shingon (mantrayana). Ciascuna di queste scuole si presenta come un Veicolo (yana) capace di condurci a destinazione, dunque fino alla Suprema Illuminazione. La scelta dell’uno o dell’altro dipende dalla nostra attitudine e motivazione. Aldilà dei loro percorsi storici i tre yana vanno considerati come livelli di approfondimento e comprensione successivi che hanno tutti origine dal Buddha Shakyamani e sono presenti all’interno di tutte le tradizioni buddiste. In questo senso si dice che il Buddha avvia per tre volte la ruota del Dhamma considerando la natura e i diversi livelli di comprensione degli esseri senzienti. È pertanto corretto intendere questo passaggio di livello all’interno della propria pratica meditativa; i vari insegnamenti del Buddha ci possono aiutare ad ampliare la nostra prospettiva del sentiero. Forse l’elefante, come simbolo di fede e di regalità, può catturare la profondità e il potere del messaggio buddista in tutte le sue forme. È il mio sincero augurio che: “come l’impronta di un elefante contiene tutte le altre impronte, possano gli insegnamenti di Buddha contenere tutte le sue tradizioni” senza pregiudizi e settarismi. Possano tutti essere liberi e destati alla Grande Illuminazione. Nei Sutta è una storia molto interessante a questo riguardo. Una volta un bhikkhu, alla presenza di Buddha, espresse il desiderio di diventare un monarca universale. Il Beato, avendo visto con l’Occhio della Sua Mente il desiderio di quel bhikkhu, lo rimproverò dicendo che siccome quel desiderio era stato fatto in sua presenza avrebbe potuto realizzarsi, ma che era triste che non ne avesse fatto uno di più nobile, per esempio di diventare un Buddha, perché anche questo sarebbe stato possibile. Da questo esempio si può comprendere che le promesse fatte di fronte a un Maestro realizzato sono rinforzate dal potere di realizzazione di questa persona. Per tale motivo è importante la connessione con un Maestro. Di fatto la presa di rifugio nel Buddha vuole rappresentare in modo reale sia la connessione con il Buddha storico Gotama Sakyamuni sia il contatto diretto con la natura fondamentale di Buddha che tutti abbiamo dentro. In questo modo entriamo all’interno di un lignaggio e in un flusso di energia che da più di 2500 anni ha permesso a molti praticanti di giungere all’Illuminazione, grazie alla via indicata dal Buddha.

STORIA DEL SANTACITTARAMA

Lei è stato per sei anni l’abate del primo monastero Theravada in Italia, il Santacittarama.  Ci può dire qual è il significato del suo nome?

Santacittarama che in lingua Pali significa “Il Giardino del Cuore Sereno” è il nome che mi venne in mente nel gennaio del 1990, durante un inteso periodo di meditazione in Inghilterra, per il primo Vihara della tradizione Theravada che dà lì a poco si sarebbe aperto in Italia.

Può raccontarci come fu fondato il Santacittarama?

La storia della sua formazione può essere fatta risalire all’estate del 1986 quando il mio precettore il Venerabile Saddhatissa fu invitato a Roma da un gruppo di emigrati di Sri Lanka per alcune cerimonie Buddhiste. A queste fu invitato a partecipare anche Vincenzo Piga fondatore della “Fondazione Maitreya”, un organizzazione Buddhista di supporto ampiamente meritevole di aver divulgato il Buddhismo in Italia. Durante una riunione all’Ambasciata di Sri Lanka, il dott. Piga chiese al Ven. Saddhatissa, se c’era la possibilità di avere qualche monaco Theravada a Roma o dintorni, per costituire un centro, precisando che la “Fondazione Maitreya” avrebbe acquistato un edificio per ospitarlo. Il Ven. Saddhatissa promise di interessarsi e lo informò che lui stesso aveva ordinato un monaco Theravada di origine italiana che dopo otto anni di addestramento monastico era stato mandato dal monastero di Amaravati in Inghilterra in Nuova Zelanda per partecipare con il Ven Achaan Viradhammo, alla fondazione di un monastero nell’area di Wellington .
Nel Febbraio del 1986, ottenuto l’indirizzo, il dott. Piga, benefattore e promotore del Buddhismo in Italia, mi scrisse in Nuova Zelanda di questa possibilità e da allora mi inviò regolarmente la rivista “PARAMITA” da lui fondata. Negli anni 1987 e 1988 ci fu un saltuario scambio di corrispondenza tra me e la “Fondazione Maitreya” e fui contattato pure dal dott. Martinelli, fondatore della rivista “Buddismo Scientifico” e del tempietto “La Pagoda” vicino Arezzo.
Nella primavera del 1989 l’allora ambasciatore di Sri Lanka in Italia, il Signore Chandra De Zoysa, diede notizia che per la celebrazione del VESAK, (giorno in cui si ricorda la nascita, l’illuminazione e la liberazione finale del Buddha) sarebbe arrivata a Roma una delegazione di monaci Theravada, e aggiunse che se si fosse trovato un edificio per costituire un Vihara, qualcuno di loro sarebbe stato disposto a fermarsi.
I coniugi Piga, entusiasti di tale possibilità, si adoperarono in tutti i modi per trovare, in un luogo ritenuto idoneo a tale scopo, ove ospitare i monaci.
Non fu per loro facile trovare un villino che potesse essere adibito a tempio buddhista. Innanzitutto non doveva costare troppo e doveva trovarsi fra Roma e Napoli per facilitare la visita di eventuali interessati. Finalmente, nel Marzo 1989, sentito il parere favorevole dell’Ambasciatore De Zoysa, i coniuci Piga acquistarono un villino a Sezze in provincia di Latina.
Successivamente le notizie sulla disponibilità di monaci di Sri Lanka a fermarsi in Italia risultarono inesatte. Allora il Signor Piga quale presidente della “Fondazione Maitreya”, che già aveva sponsorizzato alcuni lavori di sistemazione del villino di Sezze, chiese la collaborazione di Solé-Leris, studioso e praticante di Vipassana e del professore Corrado Pensa, insegnante guida dell’A..Me.Co. ed allora ordinario di Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente all’Università “ La Sapienza” di Roma, per ottenere dei monaci da Amaravati.
Ma nel Marzo 1989 giunse da Amaravati una risposta negativa ( per circa quattro anni non avrebbero aperto nuovi monasteri).
Intanto nel Maggio 1989 il mio maestro il Ven. Sumedho accettò l’invito della “Fondazione Maitreya” di venire a Roma a Novembre dello stesso anno per un seminario di Vipassana, organizzato dalla A.Me.Co.; contemporaneamente anch’io informai il dott. Piga che dopo circa cinque anni di permanenza in Nuova Zelanda sarei tornato in Italia per far visita ai miei genitori, prima di proseguire per Amaravati in Inghilterra e che inoltre mi sarei fermato a Roma per incontrare e salutare Ajahn Sumedho. Fu così che nel novembre 1989, dopo il seminario di Vipassana, Ajahn Sumedho ed io fummo accompagnati a visitare il villino di Sezze appositamente acquistato dai coniugi Piga per aprire un Vihara in Italia. e, in una riunione all’ambasciata di Sri Lanka, fu deciso che Amaravati avrebbe aperto un centro a Sezze, con il Ven. Thanavaro e un Anagarika; d’altra parte la “Fondazione Maitreya”, l’A.Me.Co., e l’Ambasciatore Chandra si impegnarono a sostenere il Vihara. L’apertura ebbe luogo il 21 Marzo del 1990, e Santacittarama fu aperto ufficialmente con l’entusiasmo e il supporto di entrambi i buddhisti italiani e asiatici residenti in Italia. Sebbene il Vihara di per sè sia stato largamente sponzorizzato dalla “fondazione Maitreya” e dall’A.Me.Co., l’ambasciata dello Sri Lanka, della Birmania e della Thailandia, assieme alle loro rispettive comunità, contribuiscono a sostenere la comunità monastica.

Qual’è stata la sua impressione nel ritornare in Italia dopo 12 anni all’estero?

Quando nel 1977 lasciai l’Italia, gli insegnamenti del Buddha erano sconosciuti alla maggioranza degli italiani; ma al mio ritorno , nel novembre del 1989, trovai che il buddhismo si era radicato in italia in varie forme. (Theravada/Vipassana, Zen, Tibetana).
L’incremento e l’espansione del Buddhismo in Italia culminò con il suo riconoscimento legale nel Gennaio del 1991 come religione ufficiale in Italia (con rappresentanze collettive tramite l’U.B.I. – Unione Buddhista Italiana). Tale riconoscimento fu un segno tangibile della crescita del Buddhismo in Italia. All’inizio io stesso notai che l’impegno degli italiani era sincero e genuino, erano veramente interessati ad un diverso modello di vita spirituale.

Come fu l’accoglienza della cittadinanza di Sezze?

All’inizio avvertivo una certa solitudine in quanto non erano molte le persone che mi venivano a trovare o bussavano alla nostra porta per consigli o aiuto. Per questo motivo iniziai a viaggiare e ad insegnare in tutt’Italia era anche un modo per far conoscere il posto.
Per il primo anno fui l’unico monaco residente e mantenni la tradizione del pindapata (questua) uscendo ogni mattino con qualsiasi condizione metereologica. A questa mia visita al paese la gente rispondeva spesso con curiosità e a volte generosamente offrendo del cibo nella mia ciotola. In generale posso dire che fummo calorosamente accolti dalla cittadinanza di Sezze anche se non si avvicinarono più di tanto al monastero. Io d’altra parte mantenevo regolari impegni di insegnamento a Roma e mi recavo su invito in vari posti in Italia per condurre ritiri di meditazione. Mantenevo i contatti con vari buddhisti e con altri gruppi interessati.
Col passare degli anni, il fine settimana, il Santacittarama riceveva un flusso costante di visitatori sia italiani che si interessavano agli insegnamenti del Buddha sia imigrati dello Sri Lanka e della Thailandia che ci venivano ad offrire il pasto e altri requisiti utili.

Quali furono le sue prime difficoltà?

Nell’arco delle prime due settimane alcuni laici che si erano impegnati a formare il consiglio direttivo dell’Associazione Santacittarama mi comunicarono che non sarebbe stato più possibile per loro sostenermi in questo modo. Lo stesso ambasciatore di Sri Lanka in Italia, il Signor Chandra De Zoysa fu da lì a poco trasferito. Mi resi conto fin da subito che molto del lavoro per avviare il Santacittarama sarebbe ricaduto sulle mie spalle. Tra l’altro scoprii un numero crescente di crepe nelle pareti del Vihara dovute alle fondamenta strutturalmente difettose e inadeguate.
L’edificio presentava problemi di sicurezza per i monaci residenti e si era venuta a creare l’assoluta necessità di ristrutturare e riparare le fondamenta. Secondo il parere degli ingegneri che avevano effettuato dei sopralluoghi, il costo di tale ristrutturazione e riparazione sarebbe stata di circa 30 milioni delle vecchie lire.
Oltre alla ristrutturazione e alla riparazione urgente delle fondamenta si aggiunsero le spese per la collocazione di due pozzi neri e altri scavi e tubature per la fogna, per un costo complessivo di 7 milioni e mezzo. La costruzione di una copertura/chiusura della veranda che conduceva alla stanza di Meditazione.
Il piastrellamento del pavimento della stanza di Meditazione.
La costruzione di due servizi al piano terra. La costruzione di un tramezzo di separazione per la zona letto degli ospiti. Lo scavo di un fosso attorno all’area perimetrale per il drenaggio delle acque piovane. La piantagione di diversi alberi nel giardino e lungo il muro divisorio della proprietà. I lavori edili al Santacittarama richiesero molte risorse e presero molta del mio tempo ed energia. Fù allora che compresi che il nome datomi al momento dell’ordinazione monastica “Thanavaro” il cui significato è “Fondazione eccellente” richiedeva da parte mia un grande sforzo. Fondare un monastero non è un’impresa facile, mi impegnò per sei anni e prosciugò tutte le mie forze. La stanchezza e i problemi di salute che ne derivarono mi sfiancarono. Dopo 18 anni di vita monastica lasciai l’ordine Theravada per proseguire la mia ricerca e crescita spirituale in modo autonomo e da laico.

Come si svolgeva la sua vita monastica al Santacittarama?

Mantenevo uno stile di vita e una rutin simile a quelle dei monasteri inglesi di Amaravati, Chithurst ecc.. Premetto che questi non sono i soli monasteri sorti per opera del mio maestro Ajahn Sumedho, discepolo diretto di Ajahn Chah. Infatti negli ultimi venti anni si sono aperti altri due centri monastici in Inghilterra (ad Hannam e Devon), due in Australia (Perth), due in Nuova Zelanda (Wellington e Auckland), uno in Svizzera, e l’ultimo in California negli stati uniti d’America. Questi si aggiungono ad una ottantina già da anni operanti in Thailandia grazie alla guida dei molti discepoli del Ven. Ajahn Chah. La vita nel monastero è semplice, senza distrazioni, per questo il visitatore noterà l’assenza di un televisore o di una radio. Il silenzio viene incoraggiato ma questo non è mai imposto, inoltre si richiede particolare attenzione e sorveglianza verso i propri pensieri, parole ed opere. Per coloro che visitano e soggiornano nei monasteri Theravada l’osservanza degli otto precetti è essenziale, mentre i monaci ne osservano 227. Conoscere e seguire i precetti aiuta il laico ad avere un senso della vita più sano ed onesto.

Quali sono gli 8 precetti?

Gli 8 precetti sono:
1 Astenersi dal fare male a qualunque essere vivente.
2 Astenersi dall’appropriarsi di ciò che non è stato liberamente donato.
3 Astenersi da ogni tipo di comportamento erotico durante il soggiorno al Vihara/monastero.
4 Astenersi dalla parola falsa e ingiuriosa.
5 Astenersi dall’uso di droghe o alcool durante il soggiorno al Vihara e non fumare in nessun posto all’interno, eliminando comunque in modo appropriato i mozziconi delle sigarette fumate all’esterno.
6 Astenersi dal mangiare dopo mezzogiorno durante il soggiorno al Vihara.
7 Astenersi da un comportamento rumuoroso e da un abbigliamento indecente durante il soggiorno al Vihara per sostenere il codice di condotta della comunità monastica ed anche degli altri ospiti e visitatori. Inoltre non far uso di profumi e ornamenti.
8 Astenersi dall’indulgere al sonno.

Quando era monaco come iniziava la sua giornata?

La mia giornata iniziava con la sveglia alle ore 4 a.m., seguita dai canti mattutini e la meditazione che si concludeva alle ore 6 e 30. Seguivono le pulizie del monastero e una leggera colazione. Alle 8 e 30 uscivo per la questua e ritornavo al monastero per le ore 11, ora in cui ci veniva offerto il pranzo. Mangiavo un unico pasto al giorno prima di mezzogiorno, e mi astenevo dal cibo fino all’alba del giorno dopo. Dopo di ché partecipavo alle pulizie del refettorio e della cucina alle quali segueiva un periodo di riposo. Nel primo pomeriggio si effettuavano vari lavori, dal restauro allo studio. In qualità di abate dedicavo il mio pomeriggio a ricevere eventuali visitatori, così come alle materie di studio, alla scrittura e all’insegnamento. Alle 17 e 30 veniva servita una bevanda. Alle 19 e 30 iniziavano i canti serali seguiti dalla meditazione e spesso da un mio discorso sulla Dottrina che concludeva la giornata. I monaci dopo di ciò tutti membri della comunità si ritiravano ciascuno nelle loro camere, individualmente e in silenzio, proseguendo la meditazione e lo studio fino a quando lo ritenevano necessario, quindi attorno alle ore 23 andavo a dormire.

In che modo una visita al monastero ci può essere d’aiuto?

Il monastero è un luogo adatto a pacificare la mente in cui si insegna come superare la sofferenza e i piaceri mondani. Questo è possibile se comprendiamo che la sofferenza incontrata nella nostra vita è causata dall’avversione, dall’odio, gelosia, invidia, paura, attaccamento, avidità, e da tutte le passioni negative. Secondo il Buddha queste passioni sono un fuoco che brucia dentro di noi; lasciando andare il fuoco ci liberiamo anche dalla sofferenza. Ciò ci conduce al giusto equilibrio nel nostro vivere.
In una comunità monastica non mancano i momenti di tensione ma in generale, i monaci e i residenti sono gentili e anche se riservati sorridenti.
Possono spiegare la dottrina del Buddha solo su esplicita richiesta o invito.
Andarli a trovare e trascorrere qualche giorno al monastero è possibile previo esplicita richiesta.

Il monastero Santacittarama oggi si trova a Frasso Sabino, in provincia di Rieti.

Per ulteriori informazioni visitate il sito: www.santacittarama.org

 

RELAZIONE SUI PRINCIPI RELIGIOSI

Il monastero buddhista “SANTACITTARAMA” è guidato da monaci Theravada della Tradizione della Foresta che trovano nel Maestro thailandese Ajhan Chah e nel suo diretto discepolo occidentale Ajan Sumedho i loro padri spirituali.
La tradizione Theravada (Scuola degli anziani), nell’ambito del Buddhismo, è la tradizione più antica e per certi versi la più rigorosa.
Nella religione buddhista, le principali scuole di pensiero sono tre: la Tradiozione Theravada, la Tradizione Mahayana che fiorì prevalentemente in Cina, Giappone e Corea e la Tradizione Vajrayana tuttora presente in Tibet.
Nel mondo asiatico la Tradizione Theravada è seguita da molti milioni di fedeli (circa Trecentomilioni) ed è praticata soprattutto nello Sri Lanka, in Thailandia, Myanmar (Birmania), Cambogia, Sud Vietnam, Laos.
La grande struttura buddhista poggia su tre fondamenti: il Buddha (il maestro illuminato), il Dhamma (il Suo insegnamento) ed il Sangha (la comunità dei prati- canti monaci e monache). Questi tre fondamenti vengono anche chiamati “I Tre Gioielli” o “I Tre Oggetti di Rifugio” in quanto rappresentano quanto c’è più di nobile nell’uomo: Saggezza, Verità e Virtù.
La disciplina dei monaci è regolata da un’antica scrittura sacra buddhista, il Vinaya. Questo codice di disciplina fu stabilito dallo stesso Buddha per aiutare i monaci e le monache nella pratica della meditazione. Duecentoventisette sono i precetti principali che essenzialmente si rifanno a quattro principi basilari: vita casta nel celibato, vita semplice nella rinuncia, vita pacifica, vita armoniosa nell’obbedienza e umiltà. La trasgressione anche di una sola delle prime quattro regole, comporta l’espulsione immediata del monaco che l’ha commessa.
La prima regola è l’astenersi da qualsiasi rapporto sessuale; la seconda è non rubare neanche un oggetto di minimo valore; la terza non uccidere alcun essere umano e non partecipare o incoraggiare l’uccisione di alcuno; la quarta regola è il non ingannare gli altri con la falsa proclamazione del proprio status spirituale.
La pratica buddhista si esplica con la generosità, la moralità, la concentrazione e a saggezza.
I monaci buddhisti sono maestri ed esempi che vivono impegnandosi nel nobile scopo di perseguire l’estinzione dell’egoismo per il risveglio della realtà ultima e il beneficio del nirvana (cessazione di ogni sofferenza).
Nel Buddhismo Theravada il culto comprende la presa di rifugio nei Tre Gioielli, il Buddha, il Dramma e il Sangha, la recitazione di testi sacri del canone buddhista in lingua Pali; canti di lode ai Tre Gioielli; canti di protezione, di buon auspicio
e di benedizione. Riflessioni sulla dottrina e l’insegnamento basati sulle scritture canoniche, sui loro commentari e impartiti da Maestri riconosciuti.
Cerimonie di offerte ed oblazioni al Sangha spesso in memoria dei parenti o amici defunti. Tuttavia la meditazione è il cuore del culto o della pratica buddhista. Nella meditazione che può assumere la posizione seduta, in movimento, in piedi o coricata impariamo a guardare con maggiore obiettività le nostre emozioni, i nostri pensieri e il mondo in cui viviamo. In questo modo acquisteremo una nuova prospettiva per realizzare la vera natura della mente che libera dai problemi e dalle infelicità apportati dall’avidità. dall’odio e dall’ignoranza. In occasione degli incontri i monaci ed i fedeli recitano in lingua Pali le parole del Buddha. I monaci non sono intermediari fra il fedele ed il Buddha o la Verità. Tuttavia la loro vita esemplare incoraggia e nello stesso tempo permette al laico buddhista di seguire l’insegnamento del loro comune Maestro (Buddha Gotama Siddharta).
In relazione all’attività di ministri del culto nel Buddhismo Theravada non è prevista in alcun modo la celebrazione del matrimonio. Mentre di fondamentale importanza è il conforto agli ammalati e la celebrazione di cerimonie funebri.
In questo senso la cerimonia funebre prevede canti tratti dalla sacra scrittura buddhista (I Tre Canestri in lingua Pali), la consegna di un panno bianco da parte dei familiari ai monaci ed altri doni.
Questa è una cerimonia antichissima ultramillenaria; la consegna del panno simboleggia l’offerta ai monaci della stoffa per l’abito monacale.
Anticamente infatti i monaci chiamati bhikkhu (letteralmente: mendicanti). ricavavano l’abito cucendo insieme i vari pezzi trovati per terra nei luoghi di cremazione. Questi venivano poi lavati. cuciti in modo particolare e tinti di color marrone o zafferano con una sostanza ricavata da un albero asiatico.
Il monaco buddhista segue uno stile di vita semplice. il suo impegno alla pratica lo rende sereno e la sua pace e saggezza sono di beneficio a tutta la società.
” Inoltre la loro assistenza alla comunità laica è di tipo sociale ed educativo.
L’ordine monastico di cui fa parte il monastero Santacittarama dipende da Ajahn Sumedho al secolo Robert Jackman residente ad Amaravati al quale è stato conferito il titolo onorifico di Tan Jaw Kun (l’equivalente di vescovo) dal Consiglio Monastico Tailandese per il merito di aver fondato diversi monasteri in Occidente.
L’ordine dei monaci sopra descritto è riconosciuto dai monasteri buddhisti di tutto il mondo, non solo dalle principali scuole, Mahayana, Vajrayana e altri ordini Theravada, ma anche dalle scuole minori, così come dai fedeli buddhisti di tutto il mondo Asiatico ed Occidentale.
In particolare l’ordine in questione, detto anche “dei Maestri della Foresta”, in ricordo dei primi anacoreti che vivevano nei boschi, è considerato l’ordine più ortodosso per adesione alla dottrina buddhista e per il rigore morale e la austerità condotta nei monasteri. A scopo puramente indicativo si può dire che i monaci di quest’ordine possono essere paragonati all’ordine cattolico dei frati francescani.
Circa la consistenza numerica dei fedeli buddhisti nel mondo il Buddhismo è la sesta religione più praticata, con circa 360 milioni di fedeli, dopo Cristianesimo (circa 2 miliardi di persone), Islam (circa1,2 miliardi), l’Induismo (circa 550 milioni) e le religioni cinesi (circa 385 milioni). E’ buddhista un abitante della Terra su 20.
Da due secoli a questa parte il Buddhismo sta vivendo in India, Paese in cui è nato, una rifioritura. E’ tuttora diffuso in Tibet, Cina, Corea, Giappone, Indocina e, dal XX secolo, in forme minoritarie, anche in Europa (in Italia la comunità più grande) e Stati Uniti. possiamo indicare un numero che si aggira intorno ai Esistono poi italiani, praticanti buddhisti stimabili intorno a circa 60.000 oltre a circa trentamila cittadini dello Sri Lanka residenti in Italia. Per altri Paesi Asiatici non è valutabile la consistenza numerica, le comunità Thailandese e Birmana sono le più numerose. E’ tuttavia molto importante far sapere che molti cattolici, pur conservando la loro fede, si avvicinano al Buddhismo perchè, la meditazione, quale strumento di pace interiore, è compatibile con qualsiasi altra convinzione religiosa.
E’ connaturale al Buddhismo la coesistenza di un’altra fede, ciò avviene sistematicamente in Giappone dove i giapponesi sono contemporaneamente buddhisti, shintoisti, cristiani.
A maggior chiarimento di quanto detto l’insegnamento Vipassana o meditazione è un’insegnamento che riveste aspetti di conforto spirituale che possono essere accolti da chiunque. I monaci di questa tradizione sono particolarmente preparati all’insegnamento della meditazione e pertanto i più idonei ad insegnare in Occidente.

 

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